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EDIZIONE 2015TEATROIL VANTONE
Ninetto Davoli

IL VANTONE



di Pierpaolo Pasolini
dal Miles Gloriosus di Plauto

Ninetto Davoli, Edoardo Siravo
con
Gaetano Aronica
e con
Paolo Gattini
Marco Paoli
Silvia Siravo
Enrica Costantini
Valerio Camelin

regia Federico Vigorito
scenografia e costumi Antonia Petrocelli
aiuto regia Federica Buffo
assistente alle scene e costumi Francesca Rossetti
musica originale Davide Cavuti

produzione Laros di Gino Caudai

regolazione luci E.T.C. Italia www.etcconnect.com

in occasione dei 40 anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini


Tra le domande che mi feci studiando questa traduzione del Miles di Plauto, la più insistente era "Perchè Pasolini?". Quale curiosità poteva aver spinto il nostro Poeta a decidere di tradurre una commedia del III secolo avanti Cristo in una lingua, tra l’altro, non sua; il dialetto romanesco? Erano gli anni del Vangelo secondo Matteo, di Accattone e si erano già dati alle stampe capolavori come Ragazzi di Vita e Le ceneri di Gramsci.
Certo non poteva rispondere alla mia indagine la sola ipotesi che il progetto nascesse su richiesta di Vittorio Gassman (il progetto tra l’altro non riuscì nemmeno a debuttare). Quindi rilessi la commedia, Miles e Vantone. Trovarmi nel pensiero di Pasolini mi aiutò a credere dal vero alle parole di Plauto, a considerarne oltre che il loro valore narrativo anche tutto il loro potenziale civile e politico; è cosi che cominciai a convincermi del divertimento intellettuale di Pier Paolo Pasolini rispetto a questa traduzione.
La commedia Plautina certo è ben salda sui pilastri dell’intrigo amoroso e delle beffe del servo a carico del padrone ma il Nostro vi individua un germe importante, fondamentale per la sua grammatica di autore degli ultimi: l’Umanità, pietosa e rivoluzionaria.
Allora diventa plausibile immaginare Efeso come una periferia qualsiasi della Roma che PPP ha cosi tanto amato, far compiere al tempo un salto di due millenni e lasciare che la storia di Pirgopolinice e Palestrione abbandoni la sua natura farsesca, allegorica, per mutarsi in una graffiante commedia sociale. Qui ogni singolo personaggio agisce per suo squisito tornaconto muovendosi all’interno della commedia malcelando quell’ingenua meschinità con cui sempre, il Poeta Bolognese, ha caratterizzato i suoi personaggi. Una nuova occasione per Pasolini di lanciare l’ennesimo monito che oggi, ahimè, se avessimo saputo leggere, avremmo potuto ben definire "eredità".
Ho immaginato una scena che fosse un luogo e al tempo stesso una condizione sociale. Credo nella necessità evocativa della scenografia; qualsiasi impianto scenico ha, sempre, una forte responsabilità narrativa alla quale sarebbe un grave errore sottrarsi. Forse è vero che a volte possono bastare due porte; a patto che queste, aperte o chiuse, sappiano raccontare cosa nascondono. In questo senso il progetto curato da Antonia Petrocelli, non solo risulta un prezioso omaggio ai colori e alle forme che furono di Scaccianoce, Donati, Ferretti, essa assume anche una rilevante efficacia drammaturgica.
A conclusione di queste brevi considerazioni sulla messa in scena che ci accingiamo a fare mi piace riportarvi ciò che Pasolini laconicamente dichiarava in occasione della presentazione di questa traduzione: "Che in Italia esista un teatro analogo a quello in cui fondava le sue prepotenti radici il lavoro di Plauto, e cosa da mettere senza esitazione in dubbio. Per che palcoscenico, dunque, per che spettatori traducevo io? Dove potevo trovare una sede dotata di tanta assolutezza, di tanto valore istituzionale? Nel teatro dialettale, sì, ma il testo di Plauto non era dialettale. Del teatro corrente ad alto livello, in lingua, mi faceva (e mi fa) orrore il birignao. Beh, qualcosa di vagamente analogo al teatro di Plauto, di così sanguignamente plebeo, capace di dar luogo a uno scambio altrettanto intenso, ammiccante e dialogante, tra testo e pubblico, mi pareva di poterlo individuare forse e soltanto nell’avanspettacolo. È a questo, è alla lingua di questo, che, dunque, pensavo - a sostituire il "puro" parlato plautino. Ho cercato di mantenermi, il più squisitamente possibile, a quel livello. Anche il dialetto da me introdotto, integro o contaminato, ha quel sapore. Sa più di palcoscenico che di trivio. Anche la rima vuole avere quel tono basso pirotecnico, e nondimeno di protezione dell’aristocraticità sostanziale, della letterarietà di Plauto. Il nobilissimo "volgare", insomma, contagiato dalla volgarità direi fisiologica del capocomico... della soubrette... (Ma nel fondo, a protezione della sua aristocraticità sostanziale, della sua letterarietà, ecco l’ombra dei doppi settenari rimati di una tradizione comica riesumata sotto il segno di Molière.)".
Mi auguro che il nostro lavoro riesca a divertire e soprattutto a mantenere fede a queste speciali premesse.
Federico Vigorito

PERCHÉ "IL VANTONE"?
La domanda, sul perché, Pasolini abbia voluto cimentarsi anche con la drammaturgia, a mio avviso, trova spiegazione nel fatto che la performance teatrale secondo PPP rispetta, molto più di altre espressioni artistiche, il legame stretto tra arte e vita, più ancora del cinema, per il rispetto e la riscoperta, che racchiude in sé, del senso originario della tragedia vissuta come liberazione dai morsi della fatica del vivere che scaturivano dalla convinzione che aveva di sé, di essere un "dannato" della vita: il teatro come confessione pubblica delle sue esigenze, molto spesso drammi, esistenziali: Affabulazione, Orgia, Porcile, Calderon e Il vantone. Tra tutte Il vantone sembra la più stonata sia perché una traduzione sia perché la vicenda appare leggera, come, leggere, apparentemente, sembrano le commedie Plautine. Che sia un diversivo, una pausa, un momento di relax di una vita sempre impegnata fino all’ultima goccia? Tutt’altro; anche il Vantone non è altro che impegno, ovviamente diverso, nei confronti della vita. Anzitutto è una sorta di tributo alla sua scrupolosa e profondissima preparazione nella cultura classica, ma, soprattutto, perché in Plauto vede un autore che della cultura popolare ha fatto il centro della sua arte non solo per i temi che tratta ma soprattutto per il suo modo di disegnare i personaggi con il quale scardina le strutture e le convenzioni su cui era fondata la società del suo tempo che vuol poi essere il tempo di Pasolini. Attenzione, come Plauto, alle fasce di popolazione che sono sempre state ignorate, vilipese ed emarginate, sottolineandone l’arguzia, l’intelligenza, il ruolo fondamentale e indispensabile per un giusto equilibrio sociale contrariamente a quanto, comunemente, si pensa; di contro la ridicolaggine e il vero disprezzo per chi detiene, o presume di tenere, le leve del potere o peggio ancora che a questi è asservito rinunciando a quella forma di unico e vero riscatto che va ben oltre il semplice accondiscendere ai voleri del padrone. Quello che PPP definisce padrone lo vede come prototipo di stoltezza, ma non congenita, bensì voluta e cercata tenacemente per accettazione passiva delle convenzioni stabilite da altri tanto da divenire stolto al punto di convincersi che una divisa, un ruolo, una funzione sarebbero in grado di fornire lustro, fama e successo indipendentemente da qualsiasi tipo di impegno esistenziale. Troppo facile il bersaglio dunque delle fasce più deboli ed emarginate della società; troppo facile il trionfo del servo sul padrone, del povero sul ricco, del giovane oppresso sul vecchio conservatore e ottuso. In questa ottica trova giustificazione l’uso del romanesco nel rendere i contenuti plautini, che in Pasolini è comunque in linea con quella che è stata la scelta privilegiata di tutta la sua opera: la periferia romana crogiolo vitale e vivace ove si fondono pulsioni istintuali, comportamenti triviali con ideali e slanci di riscatto da ingiustizie perpetrate in secoli e secoli di storia. Non di un capriccio si tratta dunque né di un allentamento del suo impegno civile ma di un voler mettere nella giusta cornice i protagonisti delle sue storie, dei suoi romanzi, dei suoi film, della sua poesia. Così facendo ha voluto anche sottolineare la necessità della valorizzazione del parlare comune, il cosiddetto volgare, non come cifra di ignoranza ma come momento ove si fonda la vita dura ma vera di ogni giorno con la sapienza di affrontarla per portare avanti degli ideali. PPP sembra, nelle sue analisi, calpestare e trascurare tutto quanto la società nella quale vive gli ha approntato, religione compresa. Ma così non è; egli ha voluto rimettere tutto al vaglio della sua intelligenza per rendere credibile tutto quello che di buono poteva vedere nella storia del passato ma cancellare, al tempo stesso, tutto ciò che di stolto si trascinava nel presente. Al di sopra di tutto metteva la dignità della persona oltre ogni classe, censo, ideologia: una religione dell’uomo, si potrebbe dire, anima i suoi ideali e ogni sua scelta. Tutto rivisita con desiderio irrefrenabile di conoscere le profondità insondabili dell’animo umano rimanendone per lo più insoddisfatto, o meglio soddisfatto soltanto dell’atto del perenne ricercare come condizione ideale e sublime con cui un uomo può convivere. Animato da tale impellenza riprende in mano Il Vangelo di Matteo che, secondo una recente analisi dell’Osservatore Romano, è stato giudicato la migliore e più fedele rivisitazione ed interpretazione del messaggio di Cristo fatto da un cineasta... nessuno, quindi, potrà più parlare di PPP come di uno scrittore senza religione, senza Dio. Tormento ed estasi, sudore di popolo e aromi inebrianti hanno caratterizzato la vita di PPP e mai gli hanno dato tregua: ricercati e voluti con tenacia, ma mai banalmente, perché nessuno lo ha mai trovato poco vigile o supinamente adagiato su posizioni di convenzionali bensì sempre alla ricerca di un ideale puro che ridisegnasse la struttura della società secondo una visione adamantina della quale mai doversi vergognare o pentire, totalmente incurante se poi, fosse destinata a scandalizzare, purché rispettosa di una verità non temibile, talvolta bruciante ma, al tempo stesso, totalmente appagante. Mai, mai sarà possibile trovare che PPP, in qualsivoglia sua opera, manifestazione artistica o impegno civile o sociale abbia derogato da questa missione sacrale. Ben consapevole di ciò e ricco di motivazioni profonde ha sempre affrontato a testa alta tutto e tutti non indietreggiando dinanzi ad alcuno di destra o sinistra che fosse, atei o religiosi, poveri o ricchi, ignoranti o colti potenti o deboli sempre sicuro di potere attingere al fondo della sua anima le motivazioni inoppugnabili delle sue scelte. Ciò ha comportato per PPP un atteggiamento di perenne lotta contro le convenzioni sociali ma soprattutto moralistiche o moraleggianti che lo hanno "costretto", a suo stesso dire, ad un "esistenza da dannato" ma da cui non ha voluto mai recedere non inconsapevole che ciò lo avrebbe potuto portare alla sua rovina, come in realtà accadde: ma questa era la sua missione, il suo unico ed insostituibile motivo di vita. Quello che in particolare gli riempiva l’esistenza era l’abbraccio sincero degli ultimi, di coloro che si debbono inventare la vita tutti i giorni, che non hanno voce, sfruttati fin nelle midolla, che vengono, per lo più, rifiutati ma che sono in grado di manifestare, spesso, grande dignità e generosa umanità. PPP ha voluto dar voce a questa umanità: questo è stato il suo scopo di vita. Questa umanità l’ha trovata soprattutto a Roma, nella Roma delle periferie, nella Roma delle strade polverose definite da palazzoni, nella Roma del dopoguerra caotica, popolare ma viva, genuina, vera; ma anche nella voce di Plauto e nella sua Roma popolare, nella sua elementarità apparente, assimilabile a tutte le periferie dell’umanità di ogni tempo e luogo: Roma come Atene, Napoli, Efeso... Se leggiamo Il vantone con questo spirito vediamo che esso cessa di essere semplicistico e banale e gli attori - Palestrione (Ninetto Davoli), Pleusicle (il giovane innamorato), Filocomasio (il desiderio di Pleusicle), Periplecomeno (il vecchio saggio conoscitore della vita) contro Sceledro (il servo sciocco) e Pirgopolinice (Miles stolto e presuntuoso) - divengono magistrali interpreti della filosofia pasoliniana che nulla ha a che vedere con il giudizio affrettato e superficiale di un approccio poco attento. Né, date le premesse, avrebbe potuto essere diversamente. 
Ecco il perché de "il Vantone" di Pasolini.

sinossi 
Pleusicle ama la bella Filocomasio ed è riamato. Durante una sua assenza, Pirgopolinice, soldato spaccone in cerca di avventure amorose rapisce Filocomasio portandola con sé ad Efeso. Palestrione servo fedele astuto di Pleusicle si affretta subito ad avvertire il suo padrone. Durante il viaggio vien fatto prigioniero dai pirati dai quali viene offerto in dono a Pirgopolinice che porta con sé Filocomasio. I due – il servo e la donna – fingono di non conoscersi e studiano il modo di avvertire Pleusicle che, avvertito da un mercante, si reca ad Efeso e trova da abitare contigua a quella del soldato fanfarone, presso il vecchio Periplecomeno, benevolo ma astuto. Fin qui il prologo; d’ora innanzi l’azione scenica. Forata la parete che li divide, i due innamorati si incontrano scambiando gesti d’amore. Li scopre il servo dello spaccone, Sceledro, messo a custode della bella Filocomasio. Allora da parte di Pleusicle e Periplecomeno viene fatto ogni sforzo per convincere Sceledro che si tratta di un abbaglio tentando di fargli credere che Filocomasio esce dalla casa del Vantone anziché da quella di Pirgopolinice, poi gli viene presentata come gemella di Filocomasio giunta ad Efeso il giorno prima con il suo amante. Lo stratagemma riesce anzi Palestrione fa credere a Pirgopolinice che la bella moglie di Periplecomeno, ormai stanca del vecchio marito, si sia invaghita di lui e voglia sposarlo. Lo stolto e vanitoso soldato lusingato da questa inaspettata conquista manda via la concubina e libera Filocomasio lasciandole tutti i regali che le ha fatto, compreso Palestrione. Tronfio e voglioso di dare sfogo alla sua passione entra nella casa di Periplecomeno dove trova il finto marito geloso che assieme ai suoi servi gli riservano una gragnola di legnate.


NINETTO DAVOLI
Nasce a San Pietro a Maida, in provincia di Catanzaro, nel 1948, ma cresce a Roma, dove i suoi genitori si stabiliscono subito dopo la sua nascita, nell’allora baraccopoli Borghetto Prenestino presso la Via Prenestina. Dal carattere simpatico, con la tipica parlata romanesca e con un sorriso aperto, viene scoperto da Pier Paolo Pasolini che, dopo avergli affidato una comparsata nel film Il Vangelo secondo Matteo (1964), lo sceglie come coprotagonista, al fianco di Totò, nel film Uccellacci e uccellini (1966) e, successivamente, negli episodi La Terra vista dalla Luna (Le streghe, 1967) e Che cosa sono le nuvole? (Capriccio all’italiana, 1968). Comincia così un lungo sodalizio professionale e umano (sin dal 1963), destinato a interrompersi a causa della tragica scomparsa del poeta e regista. È proprio Davoli a effettuare il riconoscimento del cadavere di Pier Paolo Pasolini, la mattina del 2 novembre 1975, dopo l’assassinio del regista. Con Pasolini, Davoli ha girato in tutto nove film, l’ultimo dei quali è Il fiore delle mille e una notte (1974). Oltre alla intensa collaborazione con Pasolini, ha intrattenuto un lungo sodalizio con Sergio Citti, con cui nel 1970 gira il film d’esordio Ostia e poi, tra il 1973 e il 1996, i successivi Storie scellerate, Casotto, Il minestrone, Sogni e bisogni (l’episodio I ladri) e I magi randagi. Specializzato in ruoli brillanti, Davoli raccoglie tuttavia i risultati migliori in ruoli drammatici come nel film Uno su due di Eugenio Cappuccio, con cui ottiene critiche ottime e vince il premio Lara 2006 alla prima Festa del Cinema di Roma, e in Cemento armato, pellicola noir di ambientazione romana di Marco Martani. In televisione nel 1975 interpreta Calandrino nello sceneggiato Le avventure di Calandrino e Buffalmacco di Piero Pieroni e Carlo Tuzii. Nel 1979 recita nella commedia musicale Addaveni quel giorno e quella sera, insieme ad Adriana Asti; le canzoni, in dialetto romanesco, sono tutte scritte da Antonello Venditti e cantate da Davoli, o da solo o in coppia con la Asti. Nel 2008 interpreta Gerardo il Barbaro nella prima stagione di Romanzo criminale - La serie per la regia di Stefano Sollima. Oltre che alla nutrita filmografia e ai numerosi ruoli teatrali, Ninetto Davoli deve la sua grande popolarità al personaggio di "Gigetto", protagonista di un fortunato Carosello dei primi anni settanta: per la pubblicità dei crackers Saiwa recita, a partire dal 1972, la serie "Le canzoni alla Gigetto", in cui vestito da garzone di panetteria (in dialetto romanesco, cascherino) gira all’alba per Roma zigzagando con una bicicletta da trasporto, cantando a squarciagola alcune note can- zoni di quegli anni, con un effetto comico esilarante. Ninetto Davoli, sposatosi nei primi anni settanta, ha due figli e vive a Roma nel quartiere di Cinecittà. Fa parte della Nazionale italiana di calcio composta da cantanti e attori (la ItalianAttori), che partecipa a tornei di beneficenza, ed è acceso tifoso della Roma.

EDOARDO SIRAVO
Attore e regista, nato a Roma nel 1955, ha recitato nelle compagnie teatrali più rilevanti del panorama nazionale in oltre 120 spettacoli. Ha lavorato e lavora anche nel cinema, in televisione e nel doppiaggio, collaborando con importanti registi e attori quali: S. Randone, P. Stoppa, V. Redgrave, L. Ullmann, A. Lionello, V. Gassman, G. Lavia, G. Bosetti, L. Ronconi, L. Squarzina, R. Guicciardini, G. Patroni Griffi, A. Pugliese, J. Lassalle, M. Sciaccaluga, M. Missiroli, W. Pagliaro, G. Sbragia, G. Proietti, C. Verdone, M. Bolognini, D. Damiani, G. Ca- pitani, S. Martino, R. de Simone, A. Piccardi, T. Pulci, L. Pugelli, O. Krejka, V. Emiliani, M. Panici, A. Grimaldi, U. Pagliai, F. Vairano. Tra i vari recital nel suo repertorio, i più richiesti ed apprezzati sono: Magia della voce, con il baritono Roberto Servile, Fra...intendimenti d’Amore, con Vanessa Gravina, e Moby Dick, per la traduzione di Massimo Vincenzi. È stato aiuto regia di Giancarlo Sbragia negli spettacoli La bottega del caffe con Vittorio Caprioli e Il gioco delle parti con la Compagnia Tieri Loiodice e regista degli spettacoli teatrali Voieurs di G. Amendola, Scespiriana con Michele Placido, Le regine con Ivana Monti. Ha curato inoltre la regia di tutti i recital di cui è protagonista. Nella lirica, ha curato nel 2003 la regia di Macbeth di Giuseppe Verdi, con Marzio Giossi e Anna Valdetarra, per il Comunale di Vercelli e per la stagione teatrale di Nichelino; e nel 2004 Simon Boccanegra, per Vercelli, Cuneo e Nichelino. Per il Teatro Consorziale di Budrio ha curato la regia di Rigoletto e Traviata di G. Verdi e del Don Giovanni di Mozart, con Fernanda Costa, Marzio Giossi e Roberto Servile. È stato per molti anni docente dell’Accademia d’Arte Drammatica della Calabria e del C.C.C.D.S. Conservatorio Teatrale, con sede a Roma. Ha pubblicato per la rivista online "Agorà Magazine". Svolge inoltre intensa attività di doppiatore e ha prestato la sua voce, tra gli altri, a G. Depardieu, C. Reewe, P. Veller, M. Keaton, P. Fonda, J. Irons, K. Richards, Koji Yakusho e John Goodman. Tra il 2000 e il 2005 è vincitore di tre TeleGatti per la fiction Vivere, dove interpretava uno dei protagonisti. È stato inoltre protagonista o co-protagonsita delle fiction: Distretto di Polizia, per la regia di A. Ferrari; Il Commissario Rex, regia di M. Serafini; Provaci ancora prof, regia di R. Izzo; Famiglia Ricordi, regia di M. Bolognini; Linda e il brigadiere, regia di G. F. Lazotti; Il Maresciallo Rocca, regia di G. Capitani; Un anno in Toscana, produzione russa. Tra i numerosi film: Mosca Addio, con Liv Ullmann; Viaggi di nozze, con Carlo Verdone; Arrivederci e grazie, con Ugo Tognazzi; L’ultimo re di Aurelio Grimaldi; Amore tra le rovine di Massimo Ali Mohammad. Dal 2002 al 2006 è stato Direttore Artistico del Festival "Il verso, l’afflato e il canto" del Teatro Romano di Volterra. Ha fondato la compagnia teatrale Molise Spettacoli, di cui è stato Direttore Artistico. È presidente del Teatro dei due Mari, con sede a Tindari. Dal 2011 al 2013 è stato Direttore Artistico della Fondazione Teatro Savoia di Campobasso (ente pubblico). Attualmente è Direttore Artistico della compagnia teatrale "Il Carro dell’Orsa". È Direttore Artistico della manifestazione "Percorsi d’Autore" di Cuneo e provincia. Membro del Consiglio Direttivo del Centro Studi Ignazio Silone, con sede a Pescina (AQ). Ha letto per Audiolibri Salani La fine è il mio inizio e Un altro giro di giostra di Tiziano Terzani e Il vecchio che leggeva romanzi d’amore di Luis Sepulveda. Per gli Editori Riuniti è in preparazione il manuale per attori dal titolo Diseducazione al Teatro. È socio fondatore del Nuovo IMAIE.

GAETANO ARONICA
Nato ad Agrigento nel 1963, come attore ha preso parte alla fiction La stagione dei delitti nel 2004 con la regia di Claudio Bonivento. Nel 2007 recita nella fiction Il capo dei capi con la regia di Enzo Monteleone e Alexis Sweet. Nel 2010 fa parte del cast di Squadra antimafia - Palermo oggi 2 Squadra antimafia - Palermo oggi 3. Al cinema ha recitato nei film di Giuseppe Tornatore, Malèna nel 2000 e Baarìa nel 2009.

FEDERICO VIGORITO
Attore e regista, è nato a Tivoli nel 1979. Attualmente impegnato come regista per produzioni nazionali, si dedica allo studio della letteratura contemporanea con particolare attenzione alle nuove drammaturgie. Matura la propria esperienza teatrale grazie alla collaborazione con Massimo Belli e Mimmo Mongelli; lavora tra gli altri con Flavio Bucci, Caterina Vertova, Maurizio Nichetti, Paolo Ferrari, Pino Caruso, Paolo Poiret, Maurizio Micheli, Edda Valente, Luca Biagini, Ninetto Davoli, Arnaldo Ninchi, Vanessa Gravina. È fondatore del Premio Internazionale di Narrativa "Luigi di Liegro".
TEATRO
San Nicolò Teatro
27 GIUGNO 17:00
...................................................
28 GIUGNO 15:00
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BIGLIETTI
posto unico € 35,00 

durata:
1 ora e 20 minuti
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