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Sala Frau
giovedì 01 luglio - 21:00
venerdì 02 luglio - 21:00

Biglietti:
Posto unico €30
 
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Il serpente

(Giallofonico letto da un sospetto)
 
di Luigi Malerba
adattamento e regia Gianluca Bottoni
voce recitante Franco Mazzi
suono Hubert Westkemper
scenografia e costumi G. B. Studio
una produzione G. B. Studio
l´immagine dello spettacolo è realizzata da Desislava V. Stoichkova
 
“La città continuava a muoversi intorno a me proprio come se io non esistessi…”
Un grigio misantropo si aggira per le vie di una Roma di qualche decennio fa. È la solita Roma ingannevole, di tramonti e monumenti, di faccendieri, operai, commercianti, perditempo, che girano
intorno a loro stessi. Ai margini di questo ronzio mellifluo c’è un mitomane che con questa “non-realtà” metropolitana non riesce a entrare in contatto: può compiere solo delle minuscole, abnormi, deformi
azioni che gli detta la sua mania, dirigerle a seconda delle sue sensazioni, degli impulsi impertinenti che riceve, quasi sempre acusticamente, da questa rumorosa bolla esterna al suo microcosmo.
E in questo mondo sonoro c’è posto per tutto, luoghi parlanti e personaggi da commedia umana, c’è posto anche per una fidanzata che finirà uccisa, con relativa indagine poliziesca e finale(?) da giallo.
Chi è il colpevole? Di cosa? Del (non) comportamento del protagonista? Del (non) comportamento degli altri? Della incerta - allora - visibile deriva di una società che si stava dissonando? Dell’insordimento alla... verità? Di quale verità? Pubblicità.
Le belle menzogne - ovvero potrà volare un commerciante di francobolli?
In questo singolarissimo anti-romanzo di Malerba, il protagonista - che fin da bambino osservava invece di partecipare come gli altri bambini - ci “rivela” che al presente è costretto a “praticare unicamente la fantasia come metro del niente che gli accade”. In lui ho sentito quindi subito una simpatica analogia con quelli che, vivendo di arti sensibili come il teatro, si muovono in mondi alternativi, con figure e suoni spesso meravigliosamente inventati sostituendoli a quelle che per altri sono le “normali” relazioni sociali.
La prima idea è stata quella di raccontare questa storia dalle ambientazioni un po’ demodé, proprio per il suo stare al limite del passaggio tra un’epoca (il racconto è del 1966 ma ci piace immaginarlo
scenicamente qualche anno più avanti), quella dell’assestamento piccolo borghese dell’Italietta post bellica e quella della deriva completa di quei “must” che avrebbero dovuto fare la sicurezza di questa Italietta. E la suggestione di partenza non poteva che essere radiofonica, abbiamo pensato cioè a
un originale a puntate per la radio: quale mezzo è più adatto a un racconto “sonoro” un po’ vintage? Televisione, cinemini, negozi ancora artigiani, quartieri ancora umani, routine piccolo borghese con delle uova di serpente pronte a schiudersi destrutturalizzandosi, antenne, tetti, chiese con relative cupole. Ancora l’andare al mare o a vedere gli aeroplani decollare dava suggestioni poetiche e il “sogno” aveva il suo motivo, come pure le insegne al neon e le piene del Tevere, e un traffico fatto di Lancia e Seicento multiple. Ma già non c’era più il neorealismo, la purezza dei ragazzi di vita, e il paese, attraversato da varie correnti e accidenti, cominciava a coltivare una nuova  "menzogna". In questo clima si preparava la temperie in cui sarei cresciuto io e quello che c’è nel racconto sono anche il sonoro della mia infanzia, oltre che quello delle allucinazioni del protagonista. Arrivava e sarebbe passato “il postmoderno”, il discorso cominciava ad avvolgersi su se stesso, quei suoni cominciavano a moltiplicarsi a diventare
frastuono. E così in questo scenario la mente del mitomane de Il serpente, probabilmente –ma non è detto- già provata da un bombardamento, (sottoterra... e le bombe che ci scoppiavano sulla testa) - si ritira e lavora a sé: è lui stesso (o l’autore?) a dirigerla come un radar, prende i suoni del quotidiano e ne fa la partitura di un proprio mondo (per inventare queste scene bisogna essere portati) con personaggi propri, in cui ogni tanto compare la convinzione che un giorno lui, un venditore di francobolli, si solleverà in volo. Nel testo di Malerba sono tantissime le metafore “uditive” che ne fanno un registratore continuo di sensazioni (tutto il mondo è una specie di cassa armonica dove risuonano i concerti naturali) È un gioco però,quello di farsi i mondi da sé -per sé - che può sfuggire di mano,e creare sospetti.
Con Hubert Westkemper, abbiamo voluto creare una partitura sonora,che seminasse il tracciato di note appunto sospette, e in fondo abbiamo assecondato il protagonista che sente in maniera “ossessiva” quei suoni che sembrano inseguirlo e che sono di vario tipo, una gamma che va dal naturale al soprannaturale. (... certe cose sembrano inventate apposta,stanno lì e parlano, basta farle parlare...) Tutta questa storia ce la dice un attore. Di teatro. “A forza di parlare di raccontare mi crederanno… un visionario”.
Franco Mazzi, col suo portato joyciano, fermo a un microfono, legge le parole dei pensieri del protagonista del racconto che ci vuole convincere (coi pensieri?) che non sta fermo,ma sta girando come un flaneur misantropo, e noi lo seguiamo e assecondiamo nel suo sentire e riportare anche le voci degli altri personaggi. Anche i sogni, anche le ombre, utilizzando il campo di possibilità che l’opera “quasi aperta” di Malerba ci offre. Forse proprio in questa molteplicità di suoni ed evocazioni risiede la soluzione del giallo, del mistero che a un certo punto diventa evidente, con un delitto. In un mondo artefatto prima o poi ci scappa sempre un’azione eccessiva, anche molto cruenta. Non è quello che succede oggi nella realtà? Pubblicità?!
p.s.- A proposito di pubblicità… Due parole sugli intermezzi che creano contrasti di registro attraverso l’uso di un lessico da almanacco, dissacrante e divulgativo al tempo stesso: sono i nostri “spot”, sono la dedica a quello che fu anche autore di caroselli e pubblicità, quando questa la facevano gli “autori” per sbarcare il lunario.
Gianluca Bottoni
 

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