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San Nicolò
sabato 03 luglio - 17:00
domenica 04 luglio - 16:00

Biglietti:
Posto unico €30
 
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R.E.R.

di Jean-Marie Besset
regia Gilbert Desveaux

scenografia Alain Lagarde
disegno luci Pierre Peyronnet
costumi Alain Lagarde e Marie Delphin

con Andrea Ferreol, Didier Sandre, Marc Arnaud, Mathilde Bisson, Brice Hillairet, Chloé Oliverès, Lahcen Razzougui

suono Serge Monsegu
direttore tecnico Gerard Espinosa
produzione Théâtre de Treize Vents - CDN de Montpellier
in collaborazione con BCDV Théâtre

Due giovani coppie che vivono agli estremi della società e della periferia parigina. Ai margini, Jeanne,
cassiera, e Jo, precario… al centro, Onyx, affascinante intellettuale del quartiere latino e il suo amante A.J., ingegnere esiliato a Shangai. La follia di Jeanne, la furfanteria di Jo, la vanità di Onyx e il conformismo di A.J. faranno sì che le loro vite si incrocino. Testimoni delle loro passioni e della loro disperazione, due persone che tutto divide: un celebre avvocato ebreo e la madre di Jeanne, una meridionale che la rivendicazione delle proprie origini ha reso ostile a qualsiasi forma di diversità. Il tutto costringerà dei parigini benestanti a interessarsi ai precari della periferia.
Introduzione in forma di cronologia
di Jean-Marie Besset

28 NOVEMBRE 1987. Wappingers Falls, Stato di New York, USA. Tawana Brawley, una adolescente nera di quindici anni, viene ritrovata dietro una casa, rannicchiata in posizione fetale in un sacco di plastica, i capelli tagliuzzati, coperta di escrementi e di scritte razziste fatte con carbone e pennarelli ("Negra", "KKK"). La giovane accusa sei uomini bianchi, fra cui un agente di polizia, di averla rapita, sequestrata per quattro giorni e stuprata.

9 LUGLIO 2004. Fra Louvres e Sarcelles, Val d’Oise, Francia. Marie-Léonie Leblanc, 23 anni, sporge denuncia al commissariato di Aubervilliers contro sei giovani neri e magrebini, che l’hanno violentemente aggredita mentre viaggiava quella mattina con la sua bambina di tredici mesi nella RER. Su quel treno, senza che i passeggeri reagissero, i sei aggressori hanno violentato la ragazza, che credevano ebrea, le hanno tagliato i capelli con un coltello, strappato gli abiti e disegnato con un pennarello delle croci
uncinate sul ventre.

Abitavo a New York, nel bel mezzo del quartiere bo-bo (borghese-bohémien) di Manhattan, l’Upper West Side, quando è scoppiato il caso Tawana Brawley. Ugualmente, l’estate in cui il caso di "Marie L." ha fatto scalpore nella cronaca, ero appena tornato a vivere a Parigi, in un appartamento nei pressi dell’Hôtel de Ville. Due adolescenti perdute, due mitomani, entravano di prepotenza nell’immaginario collettivo denunciando dei crimini inventati di stampo razzista o antisemita. Queste due donne in difficoltà, uscite dalla periferia, facevano brutalmente irruzione nella mia comoda vita di scrittore ben sistemato al centro della città. Senza il loro gesto, non avrei di certo mai incrociato la traiettoria di queste vite fragili e disperate – in un ghetto devastato dalla droga nel caso di Tawana, un’esistenza priva di prospettive nel caso di Marie-Léonie. Le analogie dei due casi mi hanno colpito : per entrambe, un disperato bisogno d’amore ("deficit affettivo", lo chiamano). Circostanze identiche. Madre risposata. Padre temuto. Un ragazzo che sta per lasciarle. Stupefacente la simmetria dei racconti : sei uomini bianchi contro una nera, sei uomini "di colore" contro una bianca. Stessa soluzione per cavarsela "dignitosamente".
Una menzogna che scatena conseguenze immense, e che è stata giudicata "sproporzionata" ai problemi che ne erano all’origine. Ma era veramente così? E chi può stabilire il peso dell’infelicità?

15 AGOSTO 1895. Roma. Italia.
La Tribuna riporta il tentato suicidio, in una piccola pensione, di una giovane istitutrice di vent’anni, Adelaide Bernardini, orfana di padre e di madre, insegnante per tre anni nelle scuole italiane in Turchia. Due giorni dopo, l’ispettore generale delle scuole all’estero pubblica una smentita: la giovane donna non ha mai fatto parte del corpo insegnante. Intrigato dall’articolo di giornale, lo scrittore Luigi Capuana, di trent’anni più vecchio di Adelaide, la ritrova, la accoglie in casa, la sposa.

14 NOVEMBRE 1922. Teatro Quirino. Roma. Italia.
Creazione della pièce di Luigi Pirandello, Vestire gli ignudi, ispirata alla storia di Ada e Luigi Capuana, che riscuote un grande successo. In questa commedia su una menzogna svelata la giovane istitutrice Ersilia si aspetta che il romanziere Ludovico collabori alla sua proiezione immaginaria di un passato abbellito. Ersilia non era niente. Ha mentito per essere finalmente qualcosa. La menzogna le permette di incontrare un giornalista, e poi il romanziere. Pirandello coglie lo spirito dell’epoca moderna, questa
"società dello spettacolo" dove si finirà per non esistere se non nel "quarto d’ora di celebrità" di cui parlava Wahrol.

Io non ho imitato Luigi Capuana, che a cinquant’anni suonati ha visto un’ultima opportunità di linfa vitale nel suo incontro con Ada, con la quale lo scrittore era entrato in contatto grazie alla menzogna della giovane. Io ho fatto come Pirandello: non mi sono calato nella vita vera, mi sono solo ritagliato un ruolo di osservatore in agguato, il personaggio dell’avvocato in "RER".
Il grido d’aiuto di queste tre donne mi ha colpito. Essendo bianco, non sono mai stato vittima del razzismo.
Non essendo ebreo, non sono stata vittima dell’antisemitismo. Essendo uomo, non sono stato vittima dello sfruttamento sessuale. Per contro, quand’ero più giovane, ho dovuto subire l’omofobia.
Bisognava scrivere, raccontare queste intersezioni, questo incrociarsi inatteso, queste collisioni stupefacenti. Finalmente Tawana e Marie-Léonie sono riuscite nel loro intento. Certamente non come avevano sperato. La loro menzogna non è servita a sfuggire al loro destino sociale. Ma hanno strappato il velo che ci impediva di vedere le loro piccole vite, quelle vite che si potrebbe definire in sospeso, per quanta fatica fanno a esistere, per quanto non contano. Hanno aperto uno squarcio nel suolo, spalancato, che permette di intravedere nelle viscere della terra, sotto la pavimentazione della rue Saint Honoré o quella di Central Park West, la fatica di vivere, che sfreccia nei treni affollati, all’ora di punta, nella RER che attraversa la città da parte a parte, da est a ovest, o da nord a sud, oppure sulla linea A della metropolitana di New York che porta il suo carico umano dai ghetti dell’Hudson verso gli uffici del
centro di Manhattan e le officine di Brooklyn. Come uno spaccato delle stive di terza classe di quelle grandi navi che facevano la traversata da Smirne a Brindisi.
 

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